RelAzioni

“Quale domanda vuoi che io ti faccia per sapere qualcosa di interessante di te?”

E’ così che si è aperto l’incontro guidato da Michele Caccavo, che ha coordinato il gruppo piemontese che ha lavorato sull’e-book e che per Bella Presenza è il responsabile delle attività sulle famiglie.

L’invito ai ragazzi e le ragazze del gruppo è stato di scegliere dove farsi conoscere, formulando una domanda da suggerire a Michele per “scoprire qualcosa di interessante di loro”. Questo li ha portati a condividere un episodio o una situazione concreta, senza nessun obbligo, navigando insieme su molteplici dimensioni e concetti quali il passato, il presente e il futuro, l’appartenenza, l’identità, la provenienza, i talenti, i desideri, le preoccupazioni.

Michele ha utilizzato lo strumento del “Sociogenogramma” che aiuta a stare sulle cose concrete e a rappresentare quello che viene condiviso nel gruppo.


“SOCIOGENOGRAMMA

Il “sociogenogramma” è la rappresentazione grafica e codificata di una famiglia e dei legami familiari in modo transgenerazionale. Applicato negli anni settanta, soprattutto da G. Bateson alla Scuola di Palo Alto, è stato introdotto dal 1980 da E. Lemaire-Arnaud come strumento di terapia familiare. Il sociogramma, da parte sua, concepito e impiegato dal 1933 dallo psichiatra J. Lévi Moreno, pioniere della terapia di gruppo, è un diagramma di legami sociali che una persona sviluppa sul piano personale, relazionale, e professionale. Il “Sociogenogramma”, in quanto a esso, combina il genogramma familiare e il sociogramma. Basato su un codice di colori molto precisi e di frecce, è stato ideato e utilizzato dal dr.Lemaire e da numerosi partner di lavoro. Si è imposto, dopo anni di esercitazioni, come strumento indispensabile del Lavoro Terapeutico di Rete nelle sue diverse figure.

Come sto crescendo?

“Sono nato in Bielorussia in una regione molto povera. Poi sono stato adottato e sono arrivato in Italia. Una cosa che mi ha caratterizzato molto è stata una grande passione per la storia e la politica. Sono cresciuto con delle idee politiche abbastanza sviluppate, anche se a volte erano giudizi netti, a volte anche esagerati. E’ per me molto importante la crescita, perché ho imparato la tolleranza. Accettare anche le proprie opposizioni è molto difficile. Non andiamo a ragionare più di tanto su quello che non riusciamo a fare, oppure diamo per scontato che certe cose siano sbagliate o minori rispetto a quello che sappiamo fare. Penso di aver trovato molta forza anche nell’accettare che su certe cose non sono la persona più brava del mondo, però questo non vuol dire che non si può tentare, non si può provare a sviluppare le parti di noi che sono meno sviluppate. Se abbiamo già alcune cose in testa va bene, ma va bene anche tentare di interessarsi ad altri argomenti, tipo, nel mio caso, la matematica, la fisica, la biologia. Sto crescendo, per come la sto vivendo io, in una sorta di attenuamento… evolvendo… parlo meno rispetto a prima, anche se tutti mi dicono che parlo un sacco. Mi sono appassionato alla storia, partendo dal libro delle medie dove c’era uno stato giallo, che era l’impero bizantino, credo sia stato come uno sviluppo della fantasia, di storie epiche”.

Daniele
Perché ho scelto di frequentare il liceo scientifico?

“Mi sono iscritta allo scientifico più che per quello che mi piaceva studiare, per quello che avrei voluto diventare. In seconda media ho scoperto di essere diabetica e l’ho presa subito bene grazie a un medico giovane, diabetico anche lui, che ho sentito sempre vicino, perché era come me, e mi spiegava che avrei potuto fare qualsiasi cosa volessi nella mia vita anche sapendo di avere una malattia. Volevo diventare quello che lui era per me per altre persone: fare medicina, fare pediatria, ed essere un punto di riferimento per tutte quelle persone che si sentono perse. Lui sa che mi è stato utile. Adesso la mia idea un po’ è cambiata, penso di fare ingegneria biomedica, per creare protesi come quelle che uso io per curarmi”.

Viola

Quando ci facciamo la domanda “da dove viene un talento”, accade che riconosciamo qualcosa a qualcuno, che scopriamo c’è una persona che ha contribuito al nostro futuro

Come mai cerco di non dimenticarmi le cose?

“Dell’anno in cui mio nonno si è ammalato ho un vuoto totale. Quanta cosa non mi piace e cerco in tutti i modi di trattenere i dettagli”.

Stefania

QUAL È LA STORIA DIETRO IL MIO COGNOME?

“Questo cognome è stato scelto da mio nonno che, passato in modo rocambolesco da uno stato all’altro, ha dovuto cambiare identità. C’era questo cognome disponibile e lo ha scelto”.

Aaron

Ognuno di noi ha diritto a conoscere il caos da cui è nato

C’È UN POSTO DOVE VORRESTI TORNARE?

“Vorrei tornare in Libano, più precisamente a Beddaoui, dove c’è un campo profughi che vengono dalla Palestina, dalla Siria, altri sono curdi. Sono stato lì quando tra i 14 e i 15 anni. Ero lì quando ho compiuto il compleanno. Mi era stato proposto all’associazione di cui faccio parte, dove suono il clarinetto, di andare a suonare con i bambini e i ragazzi del campo profughi. E’ un’esperienza che mi è rimasta. Anche le persone che ho conosciuto lì che sono in condizioni di difficoltà, in condizioni che sono difficili da spiegare e si capiscono bene solo quando sei lì. Con alcuni di loro sono in contatto, ma mi piacerebbe tornare a suonare insieme. Mi ha coinvolto il mio direttore d’orchestra e mi hanno convinto i racconti dell’esperienza di altri giovani che erano andati qualche anno prima di me. La cosa che più mi ricordo sono le emozioni: i bambini che facevano musica con noi, erano sempre gioiosi. Anche il solo fatto che noi eravamo lì con loro li faceva felici. Mi ha fatto pensare a cosa sono abituato ad avere e a cosa mi rende felice e a loro al poco che hanno e che li rende felici. Si possono fare molto altre riflessioni”.

Michele

Ti senti fortunata?

“Finalmente ho imparato ad apprezzare quello che ho senza mettermi a confronto con altre persone, cosa che prima facevo spesso, forse per un po’ di insicurezza. Ho trovato armonia all’interno della mia famiglia, e nonostante qualche problema, ho imparato a starci bene. Ho trovato degli amici fantastici che in realtà ho sempre avuto, perché ci sono nata insieme ma solo grazie al Covid – dato che potevo andare poco a giro – li ho riscoperti. Io vivo in un paese molto piccolo, siamo trecento abitanti, e ho riscoperto il mio gruppo di amici che considero una famiglia. L’ultima cosa per cui mi sento fortunata è che adesso ho chiarezza per il futuro e ho anche una sicurezza, grazie ai miei genitori che mi appoggiano”.

Matilde

Come una situazione non buona, può trasformarsi in un’occasione?


Come mai sono arrivata a vivere a Firenze?

“Mia mamma è milanese e mio papà è siciliano. Io sono nata in Sicilia, poi in Toscana, poi a Milano, e poi siamo tornati qui. Questa cosa di trasferirmi mi ha formato, abbandonare le amicizie non è stato facile. Mi ha insegnato a stare bene anche da sola. Qualche anno fa non era così, avevo bisogno di avere sempre qualcuno intorno”.

Irene
In quale momento ti è cambiata di più la vita?

“Quattro anni fa mi sono trasferito in Italia dal mio paese. Sono cambiate molte cose. Al mio paese vivevamo tutti insieme, con i miei zii, e nonni. Qui vivo con i miei genitori e le mie sorelle. Abbiamo trovato nuove persone qu, una comunità bengalese, tante famiglie che vivono vicino a noi, e anche un’associazione culturale che organizza degli eventi. Era una nuova situazione per noi: la scuola, la lingua. Pensavamo che saremmo dovuti vivere da soli, invece abbiamo trovato delle persone del nostro paese molto amichevoli, io ho trovato tanti amici”.

Rahib

A volte ci dimentichiamo di quanto gli altri ci aiutano. Anche le persone che ci mettono in difficoltà.

Perché ho scelto l’istituto alberghiero

“Ho scelto la scuola alberghiera perché da piccolo stavo da solo a casa e dovevo cucinare per me. Ho iniziato quando avevo sette anni perché la mia famiglia era una famiglia che cucinava sempre, è una cosa antica. Mio zio era molto severo e mi diceva che dovevo studiare, essere autonomo, e mi svegliava presto la mattina: dovevo prepararmi la colazione, fare i piatti, pulire la stanza, e questa cosa mi ha insegnato molto, mi ha insegnato a essere autonomo. Parlo due lingue, e quando farò lo chef parto in vantaggio. Il piatto che so fare meglio? El arroz a la jardinera”.  

Mathias
Di che nazionalità sei?

“I miei genitori sono di nazionalità ucraina. Ne vado fiera. Soprattutto in questo periodo non sto passando dei momenti felici. Lì c’è mio padre, che è andato ad aiutare l’ultimo nonno ancora in vita, il padre di mia madre. Mio padre è lì da due anni e io ci soffro. Ho paura che lo chiamino in guerra. Anche se sembro una ragazza attiva, felice, c’è sempre qualcosa sotto. Mio padre si prende cura di mio nonno perché mia mamma non può lasciare il suo lavoro. Pure se io non sono nata in Ucraina, io vado in estate, ho amici, ho tutti i parenti là, festeggio la pasqua ortodossa. Mi sento più legata all’Ucraina perché i miei genitori conoscono quella cultura lì. Da bambina la prima lingua che ho imparato è stato l’ucraino, perché i miei genitori non parlavano italiano bene e io l’ho imparato all’asilo. Mia sorella, più grande, ha avuto più difficoltà di me. Io avevo lei che mi aiutava con i compiti, ma quando lei era piccola non c’era nessuna ad aiutarla. Di carattere somiglio di più a mia madre ma con i gusti di mio padre. Da piccola io stavo più con mio padre, facevo tutto con lui. Al contrario mia sorella è stata più con mia madre”.

Aleksandra

Quando apriamo il tema delle famiglie e vogliamo dare il giusto spazio, prestando attenzione alle storie, lo spazio del disegno non basta mai.

Qual è stata la motivazione a cominciare a disegnare?

“La mia passione è iniziata quando ero piccola. Mi piaceva il personaggio di Sonic il riccio e di più il suo amico. Ho preso un quaderno qualsiasi, e l’ho disegnato. A me non piaceva, mia sorella mi diceva che era bellissimo. Ho continuato a disegnare, a farlo tantissime volte. Poi ho iniziato a disegnare altre cose. Ho creato un personaggio con una felpa, tutto nero, mi sembrava accettabile, e ho creato una storia. Poi ho disegnato anche altre cose, ma disegnavo tutti i personaggi fermi nella mia stessa posizione. E mia sorella mi diceva “disegnali in un’altra posizione”. Ho iniziato a vedere dei video su Youtube, e alla fine sono riuscita a fare una cosa più mobile. Anche mia sorella sa disegnare. Qui siamo come unghie e pelle, ma quando eravamo nel mio paese non eravamo così unite. Io ho iniziato a prenderla come fonte di ispirazione ma lei mi ha detto di no. “Se tu copi me, come puoi creare il tuo stile? Non guardare come faccio io un fiore, fallo tu tante volte. Io posso darti consigli, ma non posso prenderti la mano e disegnare per te”. Mi ha illuminato la testa. Lei sa disegnare benissimo, e adesso sono io che la incoraggio perché lei ha dice che ha perso la voglia di disegnare”.

Nicole

Come ti senti dopo aver sentito tutte le nostre storie?, chiede Mathias a Michele e Michele risponde…

“Sono molto più ricco di quando sono arrivato all’incontro. Parlare delle famiglie è sempre un tema delicato, e adesso sono molto più ricco sia per la conoscenza delle persone ma anche per quello che io cerco quando lavoro. E’ bello vedere come nelle famiglie ci sia un aiuto reciproco, chi ti sostiene, chi non ti sostiene, le preoccupazioni per le generazioni future e passate. Dopo questo incontro ho guadagnato fiducia nel mio impegno. La cosa importante è come riusciamo a mantenere la fiducia nelle persone e nel fatto che domani potrà essere “meno peggio” e che se anche non sarà come lo abbiamo immaginato, possiamo sostenerci”.

“Siamo ciò che incontriamo. E’ una frase bellissima, e uno dei tanti regali che ho ricevuto da Padre Alex Zanotelli. Siamo ciò che incontriamo, Padre Alex ha ragione. Siamo i racconti degli altri, i ricordi degli altri, ma anche le esperienze condivise, gli esempi apprezzati, le influenze più o meno lampanti. Ogni persona che incontriamo sul nostro cammino può lasciare un segno, può cambiare la nostra vita. Tutti noi siamo legati da un filo di umanità, condividiamo la stessa terra, ci scaldiamo allo stesso sole. Nella vita ho incontrato persone speciali, anche solo fugacemente e a ognuna di loro devo qualcosa. Che sia un’iniezione di fiducia, un gesto di affetto o di solidarietà, uno scambio di idee, o un confronto di ideali”.

Mimmo lucano

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